Succede nella nostra Casa, nella casa della nostra Famiglia. Tutto dipende dal percorso che scegliete, e allora rischiereste di non vedere, e non sapere nulla. Se per esempio decidete di entrare dal retro, potreste trovare solamente tre estintori appoggiati nel cortile interno di via IV Novembre al numero 6. Il cortile di “Casa Famiglia”. Un’esercitazione, una sostituzione, a volte capita.
Ma se i dadi, o chi tiene i fili di questa giornata vi portasse ad entrare dall’ingresso principale, l’odore di bruciato vi accoglierebbe qualche metro prima di varcare la soglia del portone, per poi attaccarsi a narici, polmoni, coscienza, assieme alla striscia nera proprio sotto la finestra interna della cappellina.
C’era un divano, lì, nel corridoio. Fino a l’altro pomeriggio. Fino a che qualcuno ha deciso che quel divano andava bruciato.
Un incendio doloso, non importa quanto piccolo, all’interno della Casa Famiglia, sotto stanze di anziani allettati e davanti ad indigenti inermi. Il peggio è stato evitato solamente grazie all’intervento dei famigliari che a quell’ora visitavano gli ospiti.
Perchè?…Per rabbia? Per noia? Di certo per vacuità di pensiero. Come è certa la sensazione di impotenza che per prima ci assale. Disarmati di fronte all’assenza del valore per la vita, il suo rispetto elementare. Probabilmente la vita degli anziani, degli ammalati non ha valore, e nemmeno viene concepita, negli occhi nulli di chi ha appiccato quell’inutile, insulso, scriteriato incendio. In quegli occhi non troverete riflessa la luce di quella vita. E forse nemmeno della propria. Qualunque sia il vuoto dietro quegli sguardi ancora ignoti, non c’è alcun accenno di pensiero alle conseguenze di quel gesto insopportabile.
Semplicemente un divano. Davanti a una piccola cappella. Davanti a un piccolo luogo sacro. Sotto gli occhi di donne e uomini, e in buona sostanza, sotto gli occhi di Dio.
Ma nemmeno questo è parso importante. Nulla conta se non la leggerezza di un gesto che vale esattamente quanto un altro da parte di chi l’ha fatto…non ha valore la vita, non ha valore il luogo. Ciò che è di tutti, una struttura al servizio degli altri, non è allo stesso tempo di nessuno. Di certo non è di chi ha deciso di distruggerne una parte.
L’immagine della finestra annerita è tutto quello che resta, ancora per poco. Fuoco, fumo, cenere. Presto sarà tutto cancellato, ma non l’urgenza del pensiero e dell’azione che ci suscita.
Dobbiamo parlarne. Farne memoria e ragione.
Parliamone ai nostri figli, prima di tutto, perché non ignorino il fatto, passando oltre. Perché sappiano che queste cose accadono anche a casa nostra: ad una Casa collettiva, ad una Famiglia comune, non importa lo statuto di quella struttura. Parliamone perchè non sia mai dimenticato il senso di ogni gesto di fronte alla vita degli altri, anche il più semplice. Figuriamoci il più odioso. Ricordiamolo a loro, alle ragazze e ai ragazzi, e come sempre accade quando spieghiamo la realtà ai più piccoli, lo ricorderemo a noi stessi.
Parliamo di bene comune, parliamo di pensiero, di responsabilità elementare per la vita, specialmente dei più indifesi. Parliamo insomma di comunità. La stessa che oggi dovrebbe stringersi nella consapevolezza dell’accaduto, nell’intransigenza della condanna, nell’ostinazione di non lasciar correre, per quella che tutto è fuorché una innocua bravata.
Perché solo un fortunato tiro di dadi, uno sguardo benevolo dall’alto, o la prontezza degli adulti ha impedito che il falò di queste nullità diventasse un disastro ben peggiore.
Non cancelliamo questo allarme che ci risuona dentro.
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