Quante volte può rinascere un Paese? Cosa serve per risorgere da torpori e rancori, dalla crisi di un po’ tutto quello che è attorno a noi? Nella ricrescita campeginese si intravedono i segni del passato e del presente. Un cortocircuito comunicativo che non sembra attenuarsi, nemmeno nelle promesse di “più comunità”, “più insieme”, “più noi” (e noi soltanto) che pure avevano animato una parte della cittadinanza. Comunicare (le intenzioni, le azioni, le opinioni) dovrebbe essere precisamente questo: sentirsi meno soli, ma soprattutto meno sordi. E invece…
Ci sono condizioni oggettive, che non aiutano, e sono uguali dappertutto: luoghi per stare insieme, luoghi per essere davvero collettività non ce ne sono. Non esistono più momenti per incontrarsi, e se esistono sono fugaci e frugali, compressi nel tempo e nello spazio. Ma questo lo sanno tutti, specialmente alle soglie di una nuova Zona Rossa. Quello che forse non ricordiamo bene è com’era prima, prima di tutto.
Viviamo in una sospensione materiale della vita, figuriamoci della comunicazione politica e civica. In mezzo all’emergenza una sola voce è rimasta, utile e apprezzata: la comunicazione quotidiana del Sindaco, iniziata un anno fa. Nel cuore della tempesta, vedere che c’è qualcuno sul ponte è necessario; non importa la rotta, non importa nemmeno vedere se il timone funziona. Una parola è una presenza vitale. È stato fondamentale, e solo la malafede può negare questo riconoscimento.
Ma c’è sempre un tempo per dare atto, e un tempo per ragionare: l’apprezzamento per una comunicazione tempestiva e di prossimità non può far venire meno il coraggio di dire che questa comunicazione ha deformato il messaggio pubblico, e continua a farlo. Non si è trattato di una svista. E’ stata una scelta, peraltro vincente. L’approccio colloquiale è apprezzato, l’impeccabile periodicità ne ha fatto un atto quotidiano, un servizio pubblico de’ noartri; negli interstizi del “detto tra noi” tutto è più leggero e meno probante di una boriosa carta intestata.
Lo stile e la forma delle comunicazioni del Primo Cittadino hanno troneggiato in un mare di silenzio soprattutto delle voci ufficiali; sono sempre e solo arrivate da un profilo privato, e non istituzionale; hanno agglomerato informazione sanitaria, aggiornamento normativo, notizie amministrative, aneddotica pseudostorica, facezia personale. E’ andata bene a molti perché non c’era altro. Qualcuno ha anche imparato qualcosa, risparmiandosi un click su wikipedia. Ma ogni pronunciamento di un Sindaco, ancor più in situazioni critiche e delicate, dovrebbe essere un documento. Non per forza un atto, ma un documento. Non un post di un Primo Individuo lanciato ai cittadini. Pochi click per una pagina ufficiale del Comune non si dovrebbero negare a nessuno. Un “non luogo” ufficiale dove potere scrivere ogni sera, ma sotto l’egida dello stemma. Che chiama un dovuto rigore.
E poi c’è il dibattito politico. Quello che dovrebbe animare un poco gli interessi dei cittadini, suscitare curiosità quando non passione. Fare informazione, che non vuol dire fare notizia. Anche i più distratti avranno notato che c’è stato un risveglio, una fiammata di vitalità nel fraseggio tra le parti. Perché anche se la pandemia non è passata, non bisogna stancarsi di andare. Se non che, l’emergenza non solo ha immobilizzato le parole, ma pure gli argomenti. Nel cespuglio pietrificato del confronto campeginese, gli ultimi affondi scambiati tra le parti sembrano gli stessi di due anni fa. Gli stessi. Può venire davvero l’istinto di guardare la data dei documenti (pardon, dei post), per non avere brutti scherzi col tempo. Quasi che non fosse successo niente.
Eppure qualcosa è successo nel frattempo. Ci sia concesso di dirlo. Ci saranno, o saranno stati, elementi di preoccupazione più stringenti di una palestra o di un problema di personale in Comune? Tutti veri e persino stringenti, per carità; ma ci sarà pure qualche altra preoccupazione di prospettiva che anima il discorso pubblico? Qualche progettualità che non richiami necessariamente auliche citazioni ma si sviluppi in concreta sostanza. Vale per i governanti e per i governati. Per i maggioranti e i minoranti. Nelle incertezze e nelle difficoltà diffuse, nell’inedito presente e nell’ignoto futuro ci sarà pure qualcosa da discutere, anche a Campegine? Poteva essere (può) la crisi sociale della pandemia un’occasione per trasformare la polemica in politica? L’emergenza poteva (può) suggerire che l’alternativa non è sinonimo sempre di opposizione, ma semplicemente una voce complementare, comunque distinta e identitaria? Che completa, e non sovrasta per forza la voce degli altri?
A Campegine mancano tante cose. Manca un luogo istituzionale dove le comunicazioni dell’amministrazione comunale sono chiare e incontrovertibili. Manca un luogo di confronto sereno tra le parti (che mica devono essere solo due) dentro e fuori il consiglio. Manca un organo di diffusione per informazioni vitali alla vita quotidiana di cittadini, desiderosi di chiarezza in una crisi che non allenta il morso sulla realtà. Una volta, con mille difetti, c’era un giornalino per l’Amministrazione con spazio per tutti, soprattutto per i servizi alla collettività; oggi può essere uno strumento digitale, a costo zero ma a tutta trasparenza, che non sia un volantino di lista o un post personale, una replica social o una condivisione di altre parole.
A Campegine manca forse una cosa più di tutte: un dibattito serio, nel merito di un paese che una rinascita la deve prima di tutto a se stesso; per ricordarci che i contenuti non servono per le campagne elettorali, semmai il contrario. Perché la politica a distanza non fa bene a nessuno, ma mai come la distanza dalla politica.
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